"Je nai pas datelier, je
ne suis pas producteur dimages : je fais des expositions":
frase breve, chiara, essenziale, un modo semplice e categorico
con il quale Bertrand Lavier (1949) descrive sè stesso
ed il suo modo di operare. L'esposizione, la mise en scene,
è decisiva nel suo lavoro perché è il luogo
in cui viene a concretizzarsi qualcosa che non esisteva prima,
dove si manifesta, divenendo evento, un'intenzionalità
che supera l'opera stessa e ne è il vero tema.
Come già Duchamp, Lavier utilizza oggetti d'uso comune,
decontestualizzandoli e mettendoli in mostra, attualizzando
la poetica dadaista dell'assemblage e del ready-made
attraverso quella che egli definisce "perturbazione
delle categorie", delle divisioni e differenziazioni
che utilizziamo per leggere la realtà e che non chiedono
altro che di essere attraversate.
Si parla così di ready-distroyed, un termine che vuol
porre l'attenzione sulle dissonanze alla base di questi anomali
assemblages, giocati sulle non-relazioni di forme e colori,
per spiazzare le comuni regole ed i processi logici che governano
il nostro approccio alla conoscenza.
La manipolazione dell'oggetto è profonda e radicale,
è chiara l'intenzione intellettualistica di passare
oltre le apparenze mediante l'invenzione di incongrue "bissociazioni",
come nelle famose sovrapposizioni di mobili e oggetti darredo
degli anni 80, giocate sullo scambio di funzioni o sulle
loro inteferenze: ed ecco un frigorifero posizionato su una
cassaforte, un proiettore su un frigorifero, un frigorifero
sopra una poltrona, oggetti banali che, perdendo la propria
singolarità, creano grazie alla simbiosi, un oggetto
altro, unico, un oggetto non identificato che turba la normale
percezione e costringe ad una inedita rivalutazione della
realtà, ecco gli oggetti travisati, interamenti ricoperti
da spessi e densi strati di pittura acrilica che interferiscono
con la forma in provocatorio confronto con le proprietà
volumetrico-scultoree dell'oggetto, ecco i fumetti di topolino
che diventano quadri astratti dopo un'elaborazione.
Come davanti a questa "Mademoiselle Gauducheau",
del 1981, di 92x195x50 cm, armadio metallico dipinto ad acrilico
(Centre Pompidou), la costernazione e lo spaesamento sono
i sentimenti più probabili provocati nell'osservatore
da oggetti impossibili in grado di scatenare dapprima emozioni
e sensazioni insolite e stranianti, fino a che si attiva una
nuova capacità percettiva grazie alla quale si intravvede
l'opera come risultato di una metamorfosi: una sorta di cortocircuito,
la turbolenza di cui parla l'artista, rivela infine una realtà
nuova ed induce un modo nuovo di guardare la realtà.
Dichiara Lavier in un'intervista rilasciata nel 1990: "Les
artistes n'inventent rien. Ils ne font que mettre le doigt
sur des choses que l'on n'avait pas bien vu ....".
Con un'operazione lucida, consapevole, non scevra di un marcato
senso sovversivo ed un ironico spirito ludico, Lavier ci ripete,
con Proust, ancora una volta, che "Il vero viaggio
di scoperta non consiste nello scoprire nuove terre, ma nell'avere
nuovi occhi", quelli dell'arte, appunto.
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