La strana sorte dei richiami apre alle volte
orizzonti impensati, su cui balenano forze epifaniche che
in un solo attimo legano e sciolgono ciò che é
distante, catturano e ad un tempo liberano un disegno fascinoso
ma fugace e precario quanto solo può esserlo un gioco
seduttivo anzi tempo interrotto.
In arte ciò accade sovente. E non perché in
quest'astratto territorio dell'esperienza umana "tout
se tient". Questa sarebbe semmai la risposta di un accademismo
pago di sé stesso, ma irrimediabilmente - eburneamente,
potremmo dire - restio a spiegarsene i motivi. No, il fatto
é che forse dovremmo cominciare a considerare o forse
meglio esperire l'arte proprio come un discontinuo gioco seduttivo,
come qualcosa da cui dovremmo lasciarci confidentemente attrarre,
qualcosa che chiama ed a cui conviene rimettersi sospendendo
il giudizio e seguendone le intermittenze e le coincidenze
nei loro fuggevoli baluginii. Non dovremmo dimenticare, insomma,
che l'arte é anche un gioco che, come tutti i giochi,
attira verso inaspettate ed oblique forme di consapevolezza
che ridisegnano, per mezzo di epifanie interiori, istantanei
scenari mentali da cui ridiscendere carichi di nuove emozioni
e nuove visioni. E' questo gioco, del resto, a donarci quei
percorsi di senso che il pensiero é chiamato a sgombrare
e rendere percorribili.
Con Alinari ho pensato a Montale. Non c’è voluto
molto perché dall'animazione indisciplinate del suo
universo figurale, dalle sue continue, cangianti oscillazioni
di senso, da quel suo innocente e ad un tempo perturbante
giustapporre di forme, risalissi al poeta di "Arsenio":
"Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiere
percosse; la tempesta é dolce quando
sgorga bianca di stelle di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'é prossima: se il fulmine la incide
dirompe come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani é il rombo silenzioso."
E non tanto per una meccanica di comparazioni o assimilazioni
che risulterebbe poi, nel nostro caso, coatta, quanto per
quella seduzione delle coincidenze che sola sa restituire
la levità di un gioco di rimandi che dura un attimo,
così come un attimo dura l'eco di quel "rombo
silenzioso" che é come un invio che non designa
un verosimile orizzonte, ma chiama a raccolta ciò che
vi latita: frammenti incongrui, figure spiazzanti, forme che
smentiscono il reale. Difficilmente si potrebbe comprendere
compiutamente l'arte dei rimandi senza rimettersi all'avventura
delle immagini; del resto, vorrebbe da dire, essa pare la
sola via per parteciparvi attivamente, per condividere il
loro tesoro e riportare indietro ciò che tutte le vere
avventure, alla fine, ci assicurano: l'emozione -o, come ama
dire Alinari, la "felicità" - di un momento
in cui tutto ciò e solo ciò che é fondamentale
accade.
Si scoprirà allora che vi é una sottile ironia
in tutto questo, che prima ancora di sostanziare l'armamentario
retorico delle immagini, coincide in Alinari con un atteggiamento
mentale in qualche modo pre-pittorico (se ciò è
possibile), con uno sfondo di natura esistenziale in cui tutte
le prospettive risultano radicalmente rovesciate; non é
il possesso del reale il nodo cruciale dell'artificio rappresentativo
(o creativo), ma semmai il suo contrario, vale a dire lo spossessamento:
quanto più insomma questo artificio rifiuta il nesso
coartante non solo col reale, ma soprattutto con la paralizzante
pretesa intellettuale insita nella convenzione rappresentativa,
tanto più allora la pittura, fuggendo dalla pittura
stessa - come ama dire Alinari - può scoprire qualcosa
in più di se stessa; quanto più si assottigli
e si rarefà il rapporto fra pittura e mondo, tanto
più essa sa essere "mondana" erompendo con
le sue seduzioni nella convenzionalità dell'esistente.
Certa pittura, disse una volta un critico, é come una
bella donna che si finge sciocca per poter prendersi gioco
più spietatamente della banalità dei suoi corteggiatori.
Di questo gioco avventuroso e seduttivo, ricco e povero ad
un tempo - ricco perché irto di immagini fascinose
e povero perché pur sempre consegnato ad una mediazione
segnica (ed in questo senso va letta l'ambivalenza quadro/finestra
di cui spesso parla Alinari) - la pittura di quest'ultimo
si pone non a caso come interprete privilegiata, che deve
il proprio privilegio all'impresa generosa di tradurre la
soggettività dell'esperienza nell'oggettività
di un sistema autonomo di segni. E' questa, del resto, la
via per leggere nella rotonda mondanità della sua animazione
l'ostensibile ricerca di fantasmi eversivamente adunati a
rivelare il montaliano "anello che non tiene" del
mondiale contrabbando di senso dell'esistente.
Non che questi fantasmi siano da intendersi - occorre dirlo
- come viatico apotropaico nell'attraversamento del "punto
morto del mondo". Tutt'altro. La pittura, osserva con
lucidità Alinari, non dà riscatto, semmai conferma
la condanna. Sublime anacronismo di un mondo che fa mostra
di non averne più bisogno, essa tuttavia sperimenta
in questa sua storicizzata impossibilità la sua autentica
ed unica possibilità, che é quella di conferire
forma nominante - e quindi senso - alla sempre più
estesa inconciliabilità fra la propria essenza di artificio
e l'irraggiungibilità del reale. E' proprio in questa
strana sorte di terra di nessuno, comunque, che si dispiega
oggi per Alinari la strana sorte di un'arte più che
mai consapevole, come ogni seduzione ben giocata, della propria
ineliminabile precarietà e finitezza. Ma anche, e forse
proprio per questo, della propria utopia. |