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Proverò a raccontarvi brevemente
ciò che mi pare che accada al mio lavoro a cui mi dedico
ormai da cinquant'anni ed a cui ogni volta, nel momento in cui
mi accingo ad individuarne ed a valutarne gli esiti, mi ritrovo
a dare una lettura spesso diversa.
Ho intitolato questo mio intervento "Occultare e disvelare
con l'immagine" perché questo dialettico alternarsi, che nel mio
percorso creativo non è mai intenzionale, riappare nel momento in cui guardando
le mie opere( siano disegni o dipinti, o sculture o acqueforti) emerge in modo
nuovo ciò che a me stesso ho occultato e disvelato: come una forma di inconsapevole
autoanalisi che varia costantemente nel tempo con il mutare del mio comportamento
percettivo.
A questo scopo mostrerò più avanti alcune immagini
tentando una mia lettura.
Devo dire che ripercorrendo le mie stagioni creative
ho imparato a riconoscere due piani: uno determinato da un nucleo soggettivo che
tende costantemente ad imporsi e l'altro che è conseguente all'estendersi
ed al modificarsi di simboli e metafore che sono in stretta relazione con i fenomeni
culturali e sociali delle mie esperienze. Mentre nell'ambito in cui si esprime
il nucleo soggettivo sono prevalenti sia l'intuizione che l'elaborazione per immagini,
nell'altro piano è preponderante un'elaborazione per concetti.
Nel
mio lavoro, che scaturisce da una vocazione non scelta, ho avvertito fin dall'adolescenza
un'istintiva energia che richiedeva di dar vita ad immagini e la costante che
ho sempre rilevato, allora come oggi, è, fin dall'inizio di ogni avventura
creativa,l'imporsi di un forte distacco dalla realtà. Cerco di spiegarmi
meglio. La creatività, per potersi esprimere, abbisogna di strumenti
tecnici che non sono mai neutri, sono il linguaggio. |
Sia
che ti appresti a realizzare un disegno, un'acquaforte, un dipinto, hai di fronte
uno spazio in cui ti esprimerai non per concetti ma per linee, segni, forme, colori. Pensi,
in sostanza, per immagini. Lo spazio che tu hai scelto, piccolo o grande che
sia, è destinato a divenire la metafora del tuo spazio poetico, fisico,
storico, metafisico, fantastico. Lì si rivelerà progressivamente
nel suo farsi il sé mentale e corporeo di chi crea l'immagine, il suo essere
nel mondo. Ed avverti che tra te e ciò che stai creando sta nascendo
un colloquio, un'intensa reciprocità : tu guardi l'immagine, l'immagine
guarda te. Questo rapporto può durare a lungo o può interrompersi
repentinamente. A me è stato necessario molto tempo, molti anni perché
questa relazione divenisse "controllabile". Devi imparare ad ascoltarti,
a fare in modo che le tue immagini, che nascono misteriosamente come dal nulla,
talvolta quasi già "pronte", a volte come accenni, come suggerimenti
che matureranno con il tempo - con il loro tempo - maturino dentro di te nel loro
progressivo farsi. Si toglie così mano a mano il velo a ciò
che si era manifestato in modo nascosto, misterioso, occulto appunto. Questa
maturazione avviene anch'essa per il tramite di prefigurazioni tecniche delle
successive fasi di ciò che stai creando, non per un percorso razionale
ma intuitivo. Questo "colloquio" che produce, ogni volta, inizialmente
una sorta di distacco tra te e la realtà, tra te e ciò che è
stato fonte di ispirazione, ristabilisce, in corso d'opera, un ritorno, una sorta
di identificazione tra te e ciò che si rivela di quella realtà grazie
all'immagine che stai creando. Il rapporto con quella realtà è
mutato, è divenuto più articolato, più ricco. In questo
"Omaggio a Dante" del 1965 (olio su faesite,1965,cm.130x120),
che nasceva dal clima generato in quegli anni dalla rappresentazione di un dramma
dal titolo "Il Vicario" del tedesco Rolf Hochhuth nel dar vita ad un'analogia
tra Papa Pacelli e Celestino V punito da Dante tra gli ignavi(che fece per viltà
il gran rifiuto) e pungolato da vespe per la legge del contrappasso, collocavo
in alto a sinistra il collage di una fotografia tristemente nota che riprende
una fila di ebrei che procedono ignari verso una camera a gas. I corpi nudi
nell'Antinferno dantesco con la carica di orpelli simboli del potere, la tiara,
la decorazione da legionario romano del re Vittorio Emanuele erano responsabili
in questo dipinto di non aver ostacolato il disegno nazista in cui povere persone
ignare venivano usate come mezzi da usare e non come fini a cui tendere. Questo
tema del corpo altrui usato e calpestato ritornerà spesso nel mio lavoro
e progressivamente nel tempo i simboli lasceranno spazio alle metafore. Questo
dipinto del 1986, "Forme" (olio su tela,1986,cm.160x130),
quindi di oltre 20 anni dopo, nacque sfogliando una rivista del tempo, Panorama,
in cui appariva una fotografia a tutta pagina dedicata ad un concorso di bellezza
di Miss Italia. Questa immagine mi rimandò a quella degli ebrei che
stanno entrando ignari nella camera a gas : anche qui i corpi mi apparivano povere
cose da consumare. In quel periodo, avendo un secondo studio a Milano, frequentavo
il mondo delle modelle di alta moda e conoscevo da vicino la loro cultura interamente
impegnata a piacere agli altri più che a se stesse, causa spesso di forti
disturbi della personalità e di anoressie. Questo dipinto fu esposto
per la prima volta in una mia mostra antologica al castello di Lerici e mi accadde
una cosa curiosa: pur non essendoci cenno né nel catalogo curato da Carlo
Ludovico Ragghianti né in alcun articolo sulla mostra circa la sua origine
"ispirativa" , mi arrivarono cinque cartoline di due diverse tipologie
raffiguranti nudi di donna in "batteria" che conservo ancora e che vi
mostro (Due cartoline postali del 1986) in cui i visitatori (una di loro spagnola
e da me completamente sconosciuta) mi scrivevano pensieri diversi che facevano
riferimento al dipinto "Forme".
In quella della visitatrice spagnola stava scritto: "Questa
deve essere consegnata a Francesco Vaccarone : Caro Francesco,
ho trovato una fedele "riproduzione" di una delle
tue "FORME".Complimenti,Baci a tutti dalla meravigliosa
Minorca, Alda."
L'occulto, l'immagine
assolutamente priva di simboli immediatamente leggibili o di analogie descrittive,
era divenuto leggibile. In questo caso come in molti altri, se non fossi sospettoso
verso ogni definizione o schema, mi verrebbe da pensare ad un comune sentire che
può riconoscersi anche in procedimenti immaginativi che appartengono molto
più all'astrazione che non ad un linguaggio più esplicitamente rappresentativo. Questo
tema della "forma" che diventa "sagoma" è presente
in gran parte dei miei lavori; la dialettica della destrutturazione e della ristrutturazione
ha accompagnato gran parte delle mie immagini, occultando e disvelando credo mie
personali cadute e rinnovamenti nel processo delle contraddizioni che segna la
vita di ciascuno di noi. Tra i temi preceduti da impulsi, emozioni fornitimi
dall'esperienza, hanno avuto importanza nel mio lavoro quelli legati al mare,
al mio paesaggio dove è cresciuta e si è maturata la mia percezione
dello spazio. Il dipinto che ora vi mostro, "Gabbiano morente sulla
spiaggia" (olio su tela,1973, cm.100x100), è degli inizi
degli anni '70.Trovai sulla spiaggia, a Monterosso nelle Cinqueterre, al tramonto
di una giornata d'agosto, un giovane gabbiano morente, impigliato in fili di njlon
e tutto sporco di catrame.Lo liberai dai fili, lo pulii e guardai come se la cavava.
Dopo pochi passi incerti, ancora malfermo si voltò a guardarmi e tentò
il volo, che gli riuscì. Soltanto molto tempo dopo ho compreso che la
struttura di questa immagine era simile a quella di miei calvari e crocifissioni
ed avevo così operato un'inconsapevole analogia tra la violenza alla natura
e la violenza all'uomo in cui la natura(in questo caso il gabbiano) viveva dopo
il calvario la liberazione attraverso la resurrezione.
pagine 1-2
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