La capacità di raccontarsi è peculiare dell'essere umano, grazie al racconto di sé, delle proprie esperienze, del proprio vissuto l'uomo storicizza la propria vita nei termini di un evento 'raccontabile', quindi comunicabile, quindi condivisibile.
Il racconto per immagini è la prima forma di rappresentazione del mondo, dalle caverne di Lascaux alle grotte camune agli affreschi di Giotto al writing metropolitano, l'uomo riesce ad attuare con la comunicazione iconica un articolato discorso muto scritto con la punta di una selce o con una bomboletta spray o con una macchina fotografica, oggi mezzo per produrre una raffigurazione immediata, ripetibile, riproducibile, comunicabile ad un numero indefinito di persone e raccontarsi in tempo reale nei propri aspetti più intimi e segreti.
Il selfie è l'autorappresentazione con la quale ci proponiamo al mondo scegliendo i tempi e i modi del momento che vogliamo condividere, ma è anche, inevitabilmente, una riflessione sulla propria identità, l'osservazione critica della propria immagine che innesca un processo cognitivo, emozionale e relazionale attorno ad un racconto autobiografico dove l'io soggetto-spettatore e l'io oggetto-rappresentato coincidono.
E' ciò che fa Silvio Tomasoni, che non ha un profilo instagram dove pubblicare le immagini e che utilizza il selfie come mezzo del tutto personale, ad uso strettamente privato, per documentare sulla sua pelle, negli autoritratti che ne derivano, "una lenta caduta dei tratti somatici o addirittura la loro deformazione, un ingigantimento della percezione della caducità. La traduzione grafica della foto agisce come una macchina del tempo spietata, un'esasperazione della luce che trasforma il volto in un paesaggio. Un andare oltre la realtà per cercare la vera anima di se stessi in cui la compattezza del volto cede…..".
Il procedimento esecutivo parte dallo scatto sullo smartphone da cui l'artista stampa una copia cartacea, base dell'elaborazione che condurrà al risultato finale, un disegno a matita su carta realizzato partendo quasi sempre dagli occhi, la parte viva, "il resto - dice Tomasoni - è scultura, paesaggio".
E mano a mano che l'immagine pittorica fagocita quella fotografica ed entra in scena il 'doppio', paradigma della molteplicità della natura umana e dell'eterna dicotomia fra il bene ed il male, si instaura la lotta per il reciproco annientamento, una lotta senza vinti né vincitori, dove ciascuno è Uno ed al tempo stesso Centomila, dove la crisi di identità può risolversi solo attraverso la follia o, come per Tomasoni, attraverso l'arte.
Il selfie, la maschera indossata quotidianamente per mostrarsi al mondo, cade sotto i colpi della matita, bacchetta magica, arma chirurgica, cartina al tornasole, sapendo che "ciò che fa la matita non è la pura rappresentazione di questa immagine, ma il suo parziale disfacimento, la contemplazione della decadenza….", una sorta di ritratto di Dorian Gray, dice Tomasoni, che sotto l'incidenza di fonti di luce variabili ed inusuali (la luce verticale sullo specchio di un ascensore, per esempio) prende vita autonoma e si trasforma, rivelando quello che sta oltre lo specchio: la consapevolezza della propria vulnerabilità, il problematico incontro tra identità e alterità, l'impossibile sintesi fra verità ed apparenza, l'anelito frustrato verso il raggiungimento di una irrealizzabile ed utopistica compiutezza.
Estraneo alla tentazione di operare qualsiasi idealizzazione del soggetto, anzi esasperando le imperfezioni e le asperità, Tomasoni, sulle orme di Lucian Freud, ribalta lo spunto narcisistico alla base del tema dell'autoritratto e trasforma l'immagine manipolata in un campo di battaglia tormentato da ombre, abrasioni, macchie, tracce e cicatrici di una lotta interiore che nasce in profondità, in uno di quei meandri dell'anima dove si ha timore di guardare.
Per la paura di trovarci gli inferni interiori di Francis Bacon, anche lui spesso ricorso alle fotografie per eseguire ritratti ed autoritratti? o l'estraniante freddezza delle foto polaroid di Chuck Close?
Rotto il patto col diavolo, il ritratto catturato dallo schermo luminoso di un cellulare forse ha la faccia rassicurante di Narciso o forse la sembianza terrificante della Gorgone riflessa nel lucente scudo di Perseo…… forse entrambe, a seconda dello sguardo, o più probabilmente nessuna delle due, possiamo scegliere a nostro piacimento, ignorando gli schemi logici che condizionano la realtà.
Sapendo che "una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile". (Luigi Pirandello,"Uno nessuno e centomila")
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