Con il termine Arte Povera si definisce un movimento
sviluppatosi in Italia nella seconda metà degli anni
'60, con significativi punti di contatto con la Minimal Art,
corrente prevalentemente americana, tendente alla semplificazione
del linguaggio, all'impoverimento dell'alfabeto segnico, per
un'arte puramente pragmatica nella quale prevalga il processo
creativo piuttosto che il risultato finale e nella quale l'esperienza
personale dell'artista si propaghi all'osservatore come coinvolgimento
emotivo e partecipazione concettuale.
Alla ricerca delle fonti primigenie dell'ispirazione, degli
archetipi elementari del linguaggio artistico, l'Arte Povera
vuol essere semplice nei contenuti e nei materiali, usa elementi
primari, terra, ferro, legno, gesso, tessuti, spesso di recupero,
ricavandone opere di valore esplicitamente concettuale, talvolta
deperibili, che durano lo spazio di un evento, attribuendo proprio
alla fase di progettazione e realizzazione dell'opera il vero
significato artistico, che non risiede più nell'oggetto
prodotto.
E' facile riconoscere in tutto questo tracce
di molteplici correnti di quegli anni, dalla Land
Art all'Happening al Concettualismo,
o radici del Dadaismo e
della Pop Art, ma a differenza
della Pop Art, l'Arte Povera ha una maggior austerità
morale, vuole esprimere, nella nuda semplicità degli
elementi compositivi, una posizione critica autentica, non ironica
nè demistificatoria, ma consapevole e cosciente della
caducità della vita e della vanità delle apparenze.
Teorico di questa tendenza è in Italia il critico
Germano Celant organizzatore, nel '67 a Genova, della prima
mostra storica di un gruppo di giovani artisti, fra i quali
Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Giulio Paolini e Jannis Kounellis,
che segna la nascita ufficiale del movimento, il suo riconoscimento
da parte della critica, la sua autorevolezza nel confronto
con i paralleli movimenti internazionali.
Poco dopo, altri artisti si cimentano nell'Arte Povera, Gilberto
Zorio, Giovanni Anselmo, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto
e Giuseppe Penone, tutti accomunati da un profondo desiderio
di rinnovamento che passi attraverso la depurazione del linguaggio
artistico e recuperi l'unico valore autentico di ogni evento
creativo, il suo divenire, il suo generarsi, il concetto,
l'idea, che vive nei materiali quotidiani, i più semplici
e più umili, nobilitati dall'uso che l'artista saprà
farne, secondo una scelta precisa che mette in relazione sia
l'artista che lo spettatore con la parte più autentica
e genuina della natura.
Eliminata ogni sovrastruttura intellettuale, prevale la ricerca
sensoriale nella massima libertà del mezzo, come ci
raccontano gli igloo di Merz, le mappe di Boetti, lItalia
alla rovescia di Fabro, le provocazioni di Pistoletto e Paolini,
i materiali poveri di Kounellis: è un'arte
in-progress, in rapporto dialettico con la realtà e
con la tradizione, che per la prima volta evidenzia la presenza
dellarte contemporanea italiana a livello internazionale.
I singoli artisti del gruppo sono forse più interessanti
del movimento in sè, per la molteplicità degli
accenti e l'originalità dei linguaggi, fermo restando
che tema centrale comune resta l'autenticità dell'emozione
e l'autenticità della creazione in un'arte essenziale,
ricondotta alle sue origini, di povertà integrale e
radicale, in profonda simbiosi con lenergia primitiva
della natura, dove "............ il mare è
acqua, una stanza è un perimetro daria, il cotone
è cotone, il mondo è un insieme impercepibile
di nazioni, langolo è una convergenza di tre
coordinate, il pavimento è una porzione di mattonelle,
la vita è una serie di azioni" (Germano Celant).
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