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Il termine Mono-Ha significa, in giapponese,
"scuola delle cose" ed è stato coniato da un
gruppo di artisti, U Fan Lee, terico della corrente, Kishio
Suga, Katsuro Yoshida, Susumu Koshimizu, Nobuo Sekine, Katsuhiko
Narita, tutti nati in Giappone negli anni '40 e attivi verso
la fine degli anni 60 e l'inizio degli anni 70, che volevano
sintetizzare così il loro modo di procedere artistico,
centrato sull'utilizzo di materiali semplici, sia naturali che
manufatti prodotti dall'uomo, nel loro stato di fatto. |
Alberi, pietre, terra, legnami, minerali e carboni, oppure
corde, travi, manufatti in calcestruzzo, carta, vetro, sono
la base da cui Mono-Ha deriva le sue creazioni, tutti elementi
non convenzionali per la tradizionale cultura artistica, che
viene così messa (per l'ennesima volta!) in discussione,
mentre il concetto stesso di arte viene riconsiderato dalle
sue fondamenta, soprattutto per ciò che riguarda la
relazione tra il mondo dell'uomo e quello della materia.
Mono-Ha si ripropone di elaborare un linguaggio artistico
che si esprima attraverso le cose, grezze o semilavorate,
senza la preoccupazione di creare prodotti artistici ed artificiali,
considerando gli oggetti non secondo il significato loro attribuito
dall'uomo, ma secondo quello che rivestono a seconda delle
situazioni.
A differenza della Minimal Art, Mono-Ha, che con Gutai rappresenta
l'espressione più avanzata dell'arte moderna giapponese
del dopoguerra, non mira tanto a dimostrare che nell'essenzialità
dell'esistente, nelle cose comuni, appunto, è già
implicita ogni forma d'arte, quanto a ricercare le relazioni
tra le cose stesse, tra esse e lo spazio, tra esse e l'uomo.
"In verità il lavoro del pittore, invece di dare
pace alla mente e serenità alla gente, è tutto
volto ad esplorare in che misura lo sguardo della gente possa
essere distolto dalle cose che essi hanno sempre creduto essere
la realtà", così dichiara Lee Ufan, che
secondo il più puro spirito Mono-Ha definisce il concetto
di un'arte che sia mezzo per rivelare la realtà e formulare
un libero giudizio sul mondo che ci circonda.
Si tratta quindi di un'arte che accade, un'arte ambientale,
un'arte concettuale, un'arte che contiene molti spunti presenti
anche nella cultura occidentale, non solo nel minimalismo
ma anche nell'Arte Concreta, nella Land Art, nell'Anti-Form,
nell'installazione e nell'happening, nella performance, nell'Arte
Cinetica, differenziandosi tuttavia per un'attenzione puntata
non tanto sull'oggetto, come fa invece l'occidente, quanto
sulla sua esistenza, in una tesa dialettica tra l'oggetto
e la sua immagine, tra il risultato ed il processo esecutivo
dell'opera.
A parte alcune esposizioni in Francia, in Italia e negli
Stati Uniti, le mostre di Mono-Ha (la prima è del 1969)
sono piuttosto rare, poichè spesso le opere sono site-specific e quindi non trasportabili, o addirittura temporanee ed effimere,
a durata molto limitata.
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