Il giorno 19 dicembre 2013 Gianmarco Chieregato, fotografo, posta sulla sua pagina instagram la fotografia di un panorama, la didascalia dice: “Milano”.
Leggo un commento: “Ha un non so che di Chicago.. In lontananza la water tower”.
Tutte le volte che guardo una fotografia non posso fare a meno di interrogarmi sul tipo di percezione che essa attiva, sulla relazione che essa stabilisce con lo sguardo dello spettatore e con il suo vissuto di essere umano, sulle emozioni che ne derivano.
Non so perché il fotografo ha scelto proprio quella visuale, forse per puro caso, forse è ciò che vede dalla finestra di casa, forse gli sembrava significativa di un particolare momento storico della città, né so perché chi commenta sceglie come riferimento Chicago, forse ci è stato, forse ne conosce lo skyline da altre fotografie……
Quello che posso dire è che io, che Chicago non l’ho mai vista, ho ricevuto una sensazione scevra da mediazioni interpretative, non paragonabile a nulla che io abbia già visto, dalle due vecchie case poste al centro della foto: separate da ciò che resta di una breve via, affossate dall’altezza proterva dei grattacieli circostanti, retroguardia di un mondo in disfacimento, quasi strette l’una all’altra, paiono sparute sopravvissute consapevoli di una fine ormai prossima.
Forse anch’io, inconsciamente, attingo al mio patrimonio mnemonico-emotivo, forse mi giunge da lì quella “folgorazione”, quella “leggera vibrazione” che mi ha indotto una irragionevole sensazione di abbandono e di sconfitta e mi fa capire che quello è il dettaglio decisivo, il focus emotivo, il punctum della fotografia e che non l’ho scelto io, perché “non sono io che vado in cerca di lui [...] ma è lui che, partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge.” (Roland Barthes,"La camera chiara, Nota sulla fotografia", 1980)
E’ un senso dell’immagine che non si può percepire direttamente e che solo la mediazione dello scatto fotografico svela permettendoci, attraverso il punctum, di accedere a ciò che è nascosto in ciò che è esposto rivelandolo al nostro lato emotivo.
E quella sensazione a Chicago non si potrebbe percepire, questa è Milano, le due case vecchiotte che verranno sacrificate sono solo qua, la situazione è irripetibile in qualunque altro contesto e quando ne verranno definitivamente distrutte le tracce, questa realtà continuerà ad esistere immutata in questa immagine, a dimostrare che la fotografia “dice il passato, conferisce significato al presente, predice l’avvenire: identifica cioè di fronte alla storia, di fronte a Dio, di fronte al destino”, così afferma Leonardo Sciascia.
Paradossalmente, l’identità dei luoghi verrà custodita da quelle due vecchie case che non ci saranno più, presenza nell’assenza per testimoniare che prima della babele linguistica dell’architettura globalizzata e dell’urbanistica del non-luogo per chiunque e dovunque, una volta lì c’era Milano, e non questa città che “ha un non so che di Chicago”, o di Detroit o di Dubai………..
“……Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”, scrive Pessoa.
Potendosi anche leggere al contrario: che saremo ciò che abbiamo visto, o che non saremo nessuno se non avremo visto nulla. |