Di tutta la produzione pittorica di Frida
Kahlo, quasi la metà è rappresentata da autoritratti,
frutto di quella che può sembrare una narcisitica,
ripetitiva e quasi ossessiva rappresentazione di sé
nelle vesti di una figura solenne nonostante la corporatura
minuta, lo sguardo fermo e penetrante, impeccabili l'acconciatura
e l'abbigliamento (nei ritratti il corpo, seppure martoriato
dalla sofferenza, è sempre graziosamente adornato):
la rappresentazione del corpo appare infatti per Frida il
centro di ogni riflessione, di ogni narrazione, luogo privilegiato
di autoanalisi in cui tutto avviene e si concentra. “la
Kahlo concentra tutto il suo universo intorno alla propria
icona……….”, scrive Achille
Bonito Oliva, attorno al suo corpo malato, perché
la malattia, come lei afferma, è ciò che conosce
meglio.
Il corpo, quindi, esibito non tanto, o non solo, come ossessiva
autocelebrazione quanto come accettazione coraggiosa e proclamata
di una realtà della quale il suo fisico dolente non
può dimenticarsi nemmeno per un istante, dove l’immanenza
della sofferenza fisica ha in sé ogni possibile causa
e ogni inevitabile effetto.
"...... La colonna vertebrale le si spezzò
in tre punti della regione lombare. Le si spezzarono anche
l’osso del collo e la terza e la quarta costola. La
gamba sinistra riportò undici fratture e il piede
destro venne dislocatoe schiacciato. La spalla sinistra
uscì dalla sua sede e le pelvi si ruppero in tre
punti. La ringhiera di metallo le aveva letteralmente perforato
il corpo all’altezza dell’addome; entrata dalla
parte sinistra,era uscita attraverso la vagina....."
(Hayden Herrera, 'Vita di Frida Kahlo', 1998): quando tutto
ciò avvenne Frida aveva 18 anni ed un promettente,
dorato futuro davanti a sé.
Anche se si autodefinisce "assassinata dalla vita",
una indomabile forza morale la fa sopravvivere a tanto martirio.
Pochi artisti possono testimoniare con tanta dolorosa e
diretta esperienza la crudeltà della loro sorte,
nessuno come Frida seppe trasformare il rapporto arte-malattia nello spettacolo della vita.
“Uso' la vita, la morte, la malattia, la gioia,
le memorie, i sogni, gli incubi per ordinarli tutti in una
struttura intellettuale: e, con un gergo ebbro ed asciutto,
rese astratto il mostruoso” (così scrive di lei Lea Vergine), aggredendo
la morte, sua immancabile compagna di viaggio, con sfrontatezza,
coraggio, ironia, esorcizzando con la sua arte la paura
e il dolore.
Con un audace accostamento che coinvolge proprio l’analisi
di una tela di Frida Kahlo, Sabrina
Sperotto parte alla ricerca di inedite relazioni tra
discipline scientifiche e umanistiche, tra arte e scienza,
ragione e sentimento, “in un percorso dove l’uomo
è al centro di un sistema complesso di valori ed
il suo cuore è considerato il motore delle arti e
delle scienze a 360 gradi.”, per usare le sue
stesse parole.
Dalla sua passione e dalla sua curiosità è
nato un progetto, “HE-ART,
il cuore tra arte e scienza“, mostra itinerante
che vuol portare alla luce impensate sintonie tra arte,
intesa come continua ricerca del perfezionamento espressivo,
e medicina intesa come arte medica, come testimonianza dell’evoluzione
delle conoscenze, della cultura e della consapevolezza di
quanto, oggi, la scienza, e soprattutto la cardiochirurgia,
possa fare per soddisfare al meglio le “esigenze
di una società che ha bisogno di contenuti ed approfondimenti
professionalmente validi e sicuri.”
Accomunate da una stessa tensione morale che ha come fine
ultimo la valorizzazione dell’essere umano, arte e
scienza possono allearsi per individuare nella malattia
il comune nemico da sconfiggere, la stessa sfida da raccogliere,
per una vittoria che spinge incessantemente oltre i suoi
limiti, che fa intravedere sempre, oltre il traguardo raggiunto,
una nuova meta.
“Viva la vida!”
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