Gentile collega Mariopaolo Fadda
Ho letto la sua lettera inviata all’ Ordine degli Architetti di Cagliari relativa alla proposta di legge sulla qualità architettonica ed inviata p.c. al Dott. Paolo Figus dell’ Unione Sarda;
rispondo sollecitata dalla densità dei contenuti. I punti da lei osservati, sono reali e problematici.
Nel senso che è ormai prassi richiedere un “commento agli iscritti” per le eventuali ipotesi di azione (se arrivano le proposte da parte degli iscritti) per
fatti e opere che comunque incidono profondamente sull’ identità ed il ruolo dell’ architetto o dell’ architettura nelle trasformazioni che ci riguardano.
Propongo brevemente, alcuni spunti alla riflessione: l’ intervento trasformativo per la piazza alla fine di via Scano, quella che è ormai in città, definita “la fossa Maxia”; e la piazza-deserto nel quartiere di S. Benedetto.
Sono sotto gli occhi dei cittadini i risultati sul paesaggio urbano di quell’ orrenda fossa o gli effetti del parcheggio nei pressi del mercato, sulla via a questo prospiciente e per la qualità urbana del quartiere.
In ogni modo la competenza professionale ed adeguati studi avrebbero dovuto (o almeno potuto) evitare “la muraglia” visiva, sulla via confinante con la ex piazza che invece, è stata realizzata.
Ovvero quella che è stata un’ intelligente operazione di ricostruzione urbanistica di edilizia economica e popolare, del dopoguerra, è stata resa illeggibile, nell’ adeguare la (ex) piazza alla “modernità” delle nuove funzioni.
Si dirà e si dice: che i parcheggi erano necessari. Anche se sappiamo che tutti i fattori da Lei citati vi si ritrovano, e che il terzo fattore: l’ alta qualità del progetto avrebbe certamente evitato tale bruttura.
Non mi dilungo sulla fossa Maxia, dato che le proteste dei cittadini, esprimono chiaramente il giudizio sull’ opera, che condivido. Aggiungo solo”…e quelle orrende scale per scendere nella fossa, a cosa servono? Quale il significato compositivo? Quale l’ integrazione con l’ architettura del paesaggio(?) del sito? Non esito a definirla anziché un luogo di ricreazione, una vera discesa negli inferi!
In questo senso vorrei dire non da architetto ma da semplice cittadina, non ci siamo salvati dall’ “obsolescenza tecnologica”!. Tali soluzioni infatti sono prive di sensibilità architettonica o paesaggistica. Più semplicemente sono prive di qualità. Piccoli esempi di come i processi trasformativi a seguito delle realizzazioni di opere pubbliche, incidano sull’ identità dei luoghi o sul senso di appartenenza agli stessi da parte delle persone o delle comunità di quartiere o per la nostra città.
Eppure la normativa sugli appalti e sulla qualità dell’ architettura suggerisce ed addirittura struttura, metodiche progettuali atte ad evitare tali situazioni. Il solo regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici dell’ 11.2.1994, n. 109 e successive modificazioni, dice molto anzi, moltissimo. Se solo si volessero perseguire principi di qualità.
In effetti sul punto, penso che già il Regolamento sia chiaro.
Piuttosto sarebbe utile interrogarci sul significato del termine “qualità”, poiché sappiamo che non è la “definizione” che ci salva dalle brutture, ma è, possono essere, i significati del termine, analizzato alla luce del valore disciplinare o meglio interdisciplinare atto a sostenerne la traccia e soprattutto dato il portato che le singole discipline, nella loro diversità, infondono alla Architettura, all’ Urbanistica, al Paesaggio Urbano o a quello Naturale.
Leggo dal Dizionario della lingua italiana (Devoto, Oli; BO, 1995): alla voce Qualità “Nozione alla quale sono ricondotti gli aspetti della realtà suscettibili di classificazione o di giudizio: buona, cattiva”;
e sulla “Qualità della vita” leggo: “stadio di benessere che segna un superamento della soddisfazione puramente materiale concessa (o imposta) dal consumismo”.
L’ art. 1 della proposta di legge sulla qualità architettonica recita:
“L’architettura è una espressione della cultura e del patrimonio artistico del nostro Paese. La Repubblica promuove e tutela con ogni mezzo la qualità dell’ideazione e della realizzazione architettonica come bene di interesse pubblico primario per la salvaguardia e la trasformazione del paesaggio”
A mio modesto parere è più significativo il dizionario della lingua italiana che l’ articolo sopra citato. E se l’ architettura, l’ opera realizzata incidesse fortemente (come sempre accade) sulla qualità della vita? E se gli esempi citati divengono esempi di un giudizio positivo o viceversa negativo, delle stesse opere? E se queste non contribuissero a migliorare il benessere o la qualità della vita dei cittadini, o non contribuissero a migliorare il disegno urbano della città? Se….
Se, Se, Se, Se …e se invece il silenzio scendesse come una coltre scura. Per varie ragioni ciò ridurebbe di molto, l’ incisività delle azioni di una corporazione. Dato che sui processi trasformativi della città qualche cosa da dire l’ Ordine Architetti dovrebbe pur averla.
Certo non tutto può essere imputato all’ Ordine. Siamo soli si sa, e pochi. Con nessuna o poca autorevolezza professionale ed inoltre, gli architetti soffrono di una disaffezione che rende problematica persino il ritrovarsi in una piccola comunità, come quella cagliaritana o regionale.
In questo contesto non esprimere dissenso od anche esprimere timide prese di posizione, a mio modesto parere tardive (vedi quanto per la Fossa Maxia) non risolve ma aggrava tale estraniamento.
Certamente nei confronti dell’ Ordine degli Architetti di Cagliari che non osa, non abbraccia sfide. O meglio condivide, condivide ad ampio spettro, come se la buona pace sia sinonimo di buona azione.
Infatti numerose sono le mail, le fotocopie di fax, le fotocopie di fotocopie che ogni giorno ci arrivano dall’ Ordine. Certo con saluti affettuosi da parte del Presidente. Ma poi?
- Sarebbe utile di tali Azioni, conoscerne gli obiettivi …Poterne valutare l’ efficacia…
Infine un’ultima annotazione. Gli iscritti hanno votato l’ attuale Consiglio con un suo programma:
- Quali le azioni del Programma a suo tempo divulgato, sono ad oggi realizzate?
- Qual’ è la rivista di nuova fondazione, utile ad offrire contenuti, visibilità e quant’ altro sia di nostro interesse, tematica o per migliorare l’ assenza di ruolo dell’ Ordine in quanto Ente pubblico, nel concreto?
- Quali le occasioni di confronto interdisciplinare di livello universitario ed internazionale?
- Sarebbe utile alla luce del mandato assegnato dagli Iscritti alla corporazione, comunicare il profilo almeno a medio termine del lavoro fin qui svolto, ai fini del nostro Servizio.
In questo senso anch’io ritengo che discutere di nuovi materiali, quelle che lei definisce le infatuazioni per questo o quel problema edile, anche quando trattasi di “alta sostenibilità ecologica”, non sia una risposta adeguata. Non sarebbe meglio che l’ Ordine, il Consiglio in carica proponesse contenuti, idee proprie, piuttosto che minima ordinaria amministrazione?
E’ vero nascondersi dietro un dito è facilissimo. Restano i problemi, l'apatia, l’ allineamento col minimo dispendio di energie. Così le sue considerazioni nel rilevare carenza di idee, di coraggio intellettuale da parte dell’ Ordine di Cagliari, diventano tutto d’un tratto indignazione.
In ogni modo grazie per la lettera. Significa che non si è ancora rinunciato e qualcosa si può fare. Tra le prime rispondere
Luisella Girau |