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Replica di Mariopaolo Fadda al commento di Luisella Girau |
Il silenzio assordante del Presidente dell’ordine sulle perplessità da me sollevate e, in buona parte, condivise dalla collega Luisella Girau, è più significativo di tante parole.
L’intervento di Girau merita alcune considerazioni. Non entrerò nello specifico degli esempi da lei citati (piazza Maxia e piazza San Benedetto) perché non cononosco gli interventi, ma come non sottoscrivere la puntualizzazione “Eppure la normativa sugli appalti e sulla qualità dell’architettura suggerisce ed addirittura struttura, metodiche progettuali atte ad evitare tali situazioni. Il solo regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici dell’ 11.2.1994, n. 109 e successive modificazioni, dice molto anzi, moltissimo. Se solo si volessero perseguire principi di qualità”? Esistono già leggi che, in un modo o in un altro, pretendono di occuparsi della qualità ma la qualità è di là da venire. Perché? Perché come ho già scritto: la qualità per decreto è roba per buonisti ingenui e creduloni.
Ciò premesso devo però dire che non condivido la posizione di Girau in merito al ruolo dell’ordine. Ho scritto altre volte sull’argomento (1, 2) e qui non mi dilungo. Ciò che mi preme sottolineare è che questo episodio rafforza ancora di più in me la convinzione che ormai l’ordine, questo ordine professionale, vada non più riformato, ma liquidato quanto prima.
“… sui processi trasformativi della città qualche cosa da dire l’Ordine Architetti dovrebbe pur averla.” No, sui processi trasformativi della città l’ordine non ha nulla e non dovrebbe avere nulla da dire. La mentalità burocratico- corporativa, di cui è paladino, la farebbe da padrona. Con risultati facilmente immaginabili.
“Siamo soli si sa, e pochi. Con nessuna o poca autorevolezza professionale.” Il problema non è essere soli e pochi ma avere idee ed il coraggio di esprimerle, solo così si conquista quell’autorevolezza, professionale e intellettuale, di cui Girau lamenta la mancanza. Gaudí e Wright, per fare due sommi esempi, erano soli e isolati ma non cedettero mai di un millimetro sulle loro convinzioni artistiche, politiche e spirituali. Pagarono un prezzo durissimo in termini di ostracismo, insulti e sarcasmi di ogni genere, ma la storia ha fatto giustizia: chi ricorda i detrattori? Diceva bene Gandhi “Prima di ignorano, poi ti insultano, poi ti combattono. Poi vinci”.
“Certamente nei confronti dell’Ordine degli Architetti di Cagliari che non osa, non abbraccia sfide. O meglio condivide, condivide ad ampio spettro, come se la buona pace sia sinonimo di buona azione”. Come può un ordine professionale abbracciare sfide di ordine culturale se il suo compito istituzionale è quello di fornire timbri, tesserini, vidimare parcelle, organizzare viaggi e punire chi non si adegua a grottesche norme deontologiche? Quando l’ordine tenta di abbracciare una sfida, la legge sulla qualità per esempio, al 99% prende fischi per fiaschi.
“Non sarebbe meglio che l’Ordine, il Consiglio in carica proponesse contenuti, idee proprie, piuttosto che minima ordinaria amministrazione”? No, cara Girau, l’ordine in quanto tale è meglio che non prenda nessuna iniziativa. Quello che lei invoca è compito di una libera associazione mentre l’ordine ha il ruolo di gendarme dello status quo. Gli architetti, cagliaritani e non, vogliono acquisire un ruolo nella dialettica culturale e nella promozione della qualità? Lascino perdere l’ordine e si organizzino in libere associazioni. I modelli non mancano di certo, il RIBA inglese e l’AIA americana, per fare due esempi noti.
“Restano i problemi, l’apatia, l’allineamento col minimo dispendio di energie.” Vero, verissimo, eppure c’è qualcuno che, con piglio borbonico, pensa di cambiare questo stato di cose a colpi di decreti. L’apatia, il declassamento intellettuale, l’isolamento culturale si superano solo con un forte impegno etico-professionale i cui costi non molti sono disposti a pagare. È molto più semplice ed appagante sottoscrivere una legge strappalacrime. Che, per di più, non costa nulla.
Concludo con le parole di Frank Lloyd Wright che, benché scritte oltre settant’anni fa, suonano attualissime: “Sembra ormai che oggi gli architetti non abbiano altro in comune che una cosa, qualche cosa da vendere: per l’esattezza, se stessi. Ovviamente, ciò che viene venduto, in definitiva, non può essere altro che l’architetto. L’architettura non è in loro.”
Mariopaolo Fadda
29/5/2011 |
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