Le argomentazioni a favore della simmetria sono, a quanto
pare, numerose e convincenti.
Stimola ad alcune riflessioni il testo che compare sulle
pagine di Antithesi, 'Michelucci sulla linguistica architettonica' (2002) a firma di Giovanni
Michelucci che, tra l'altro afferma; "Il mondo
è asimmetrico, ma le condizioni strutturali della sua
percettibilità sono sottoposte alle leggi della "buona
forma": e, tra esse, è la simmetria. Qual è
il ruolo della filogenesi nel processo di formazione delle
condizioni strutturali del sistema nervoso cerebrale? Eventuali
reiterate modificazioni dell'esperienza spaziale a livello
di generazioni potranno incidere su tali condizioni? Fino
a che punto e in che misura potrà la funzione, per
usare un'espressione cara al positivismo di fine secolo, modificare
l'organo?"
Ora, in realtà, il mondo non è affatto asimmetrico,
è effettivamente o tendenzialmente simmetrico, né
pare ci siano serie probabilità che condizioni strutturali
del sistema nervoso cerebrale possano essere influenzate da
"reiterate modificazioni dell'esperienza spaziale",
dato che il moderno evoluzionismo non depone tanto a favore
dell'ipotesi (positivista ottocentesca) che la funzione sviluppi
o modifichi l'organo, quanto della possibilità che
provvidenziali errori genetici creino casualmente organi "modificati"
(cioè già "sviluppati" diversamente)
in grado di adattarsi e sopravvivere meglio all'ambiente,
è questo il senso dell'elogio dell'imperfezione di
Rita Levi Montalcini.
Ma in un ambiente simmetrico quale è
il nostro mondo, dovrebbe sopravvivere meglio chi sottostà
alla legge della "buona forma" (come pare accada
o sia accaduto fino ad oggi, stando ad autorevoli giudizi),
garanzia di stabilità strutturale e psicologica, il
che renderebbe paradossale ipotizzare o auspicare l'avvento
di una nuova specie votata all'asimmetria.
In sintesi, se è vero che gli uomini fanno l'architettura,
non è specularmente vero che l'architettura possa fare
gli uomini, essa non ha alcun potere antropogenetico.
Va detto che in realtà il pensiero di Michelucci
è ben più complesso ed articolato del parallelo
simmetria=classicismo e asimmetria=modernità, anche
se nel commento di Bruno Zevi nella stessa pagina di Antithesi
si capta una certa volontà di radicalizzarlo su posizioni
un po' più rigide ed un po' più sovrapponibili
alle proprie.
E' un dato di fatto che il "geometrismo che è
la logica della simmetria" in architettura è
stato, ad un certo punto della storia del '900, demonizzato
come "invariante del potere dittatoriale", colpevole
di proteggere lo status quo e fermare il corso della modernità.
Ma forse la modernità non ha un corso, non è
una previsione né una proiezione, non è né
facile né rischiosa, non è ipotesi di un futuro
che non esiste ancora, la modernità è hic et
nunc, è storicizzazione del presente, è ciò
che può e deve accadere qui e ora, tant'è vero
che accade.
E forse anche il potere dittatoriale è modernità,
si afferma nel momento in cui ce ne sono le condizioni contingenti,
ed il linguaggio formale in cui traduce le sue istanze è
comunque moderno, perché esprime il suo tempo.
Ad ogni modo, anche le arti visive del '900 hanno cercato
di scrollarsi di dosso il freno della tradizione, decostruendo
principi, processi, finalità, mezzi, tutti costituenti elementari
del linguaggio, nel totale, volontario azzeramento degli elementi
classici del fare arte, in una lotta all'ultimo sangue tra
immagine ed astrazione, tra opera e idea, tra oggettuale e
concettuale.
In questa chiave vanno letti i Monocromes di Yves Klein, la tela tutta bianca di Robert Rauschenberg, il
quadrato nero di Kasimir Malevic o i 4'33" di silenzio
che John Cage somministra agli spettatori di un suo celebre
concerto: l'arte si ferma e riflette su sé stessa e
sul proprio delirio di evoluzione continua, sulla propria identità,
sulle proprie possibilità di dire sempre qualcosa di nuovo,
da questa autocritica scaturisce il Post-Modern (Transavanguardia,
Pittura Colta, i
Nuovi nuovi), l'ultima spiaggia, il mezzo attraverso il
quale recuperare il senso della continuità e della
memoria storica, rivisitando la tradizione attraverso citazioni
e stilemi da ricomporre secondo un nuovo schema linguistico:
è il trionfo della frammentazione, dell'ecclettismo,
dell'assemblage, del collage e spesso della simmetria.
Se il Post-Modern in architettura può apparire un freno
all'affermazione della modernità, non va dimenticato
che rappresenta anche una pausa di riflessione ed una salutare
rilettura critica dell'architettura moderna (Charles Jencks)
e che accanto ad interventi sostanzialmente manieristici e
citazionisti troviamo anche accenti di divertita ironia in
un'architettura colta ed allusiva che non è solo passiva
trascrizione del già detto (Charles Moore).
Ma, dichiara Zevi in un inedito dell'82, "E' così
poco il post-modern che, nell'edizione parigina della mostra
"La presenza della storia", lo hanno eliminato [
]
è un fenomeno effimero. Per questo non voglio dargli
troppa importanza."
Tuttavia, poiché non si deve giudicare il passato con
il metro del presente, bisogna ammettere che in realtà
fenomeni revisionisti come il Post-modern o l'Iperrealismo dell'America nixoniana, che nelle arti visive si può
considerare un po' come la traduzione transoceanica del postmodernismo
europeo relazionata all'unica tradizione che un'America senza
storia può offrire alle nuove generazioni, il realismo
di Edward Hopper, hanno, come tutto ciò che accade,
una loro ragione di accadere: Gerhard Richter, Chuck Close,
Richard Mc Lean, Robert Bechtle, Duane Hanson, così
come Alberto Abate, Piero Pizzi Cannella, Carlo Maria Mariani e Balthus recepiscono ed esprimono inquietudini reali e moderne
per quel tempo, la sfiducia nel mito del nuovo promosso dai
movimenti avanguardisti, il desiderio di riappropriazione
di una continuità storica e culturale, la consapevolezza
che il presente non si può sottrarre all'insegnamento
del passato.
La stessa Pop Art,
il movimento più dirompente degli anni '60, recupera
il Dadaismo duchampiano e dimostra con una geniale riattualizzazione
del linguaggio, che il già detto può diventare
una novità assoluta al mutare del contesto.
L'indiscutibile importanza del Post-Modern è quella
di fare da spartiacque tra un prima e un dopo l'avvento di
quel Decostruttivismo che, nel 1988, "nel giro di ventiquattro
ore", così scrive Bruno Zevi ("Il manifesto di Modena", 1998), liquida il Post-Modern, la tradizione, la simmetria,
gli stili e segna la nascita di un'architettura nuova ed anche,
immancabile rovescio della medaglia, di uno sperimentalismo selvaggio.
Che ha fatto i suoi danni, a dimostrazione che "evidentemente
la asimmetria non crea un'opera architettonica moderna", osserva lo stesso Michelucci, ,
o quantomeno non basta per farlo.
Il Decostruttivismo, una sorta di "invariante della libertà
democratica", viene salutato come il ritorno messianico
di quell'espressionismo architettonico che Zevi definisce
action-architecture, mutuando il termine dalla pittura gestuale
dell'espressionismo
astratto americano, in particolare di Jackson Pollock.
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