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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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American Art 1961-2001 la storia dell'arte moderna negli Stati Uniti tra due momenti decisivi della storia americana, la guerra del Vietnam e l'attacco alle Torri Gemelle.
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Milano, apre il Museo delle Illusioni, con incredibili installazioni, illusioni visive, giochi e rompicapi.

Concorsi
Concorso artistico Lucca Biennale Cartasia 2022, tema conduttore di questa edizione “The white page” (pagina bianca), le infinite possibilità per gli artisti di raccontarsi tramite le opere in carta.

Premi
I vincitori del Premio Pritzker per l'architettura 2021 sono Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal: talento, visione e impegno per migliorare la vita delle persone.

In Italia
Al Palazzo Ducale di Genova, dal 9 settembre 2021 al 20 febbraio 2022 grande mostra di Maurits Cornelis Escher.

All'estero
Parigi, all’Espace Lafayette-Drouot "The World of Bansky”, su 1200 mq. esposte un centinaio di opere del più famoso street artist del mondo. Fino al 31 dicembre 2021.

AT: Alludi ad una pittura che sia cosciente, insomma, che l'unica sua possibilità é in fondo la sua impossibilità stessa.

LA: Sì, la sua impossibilità, ma nell'articolazione delle motivazioni di questa impossibilità, il che é tutt'altro che semplice.

AT: Vorrei fare alcuni passi indietro, ora, e tornare agli esordi del tuo lavoro di artista, sul finire degli anni sessanta. La situazione ed i riferimenti culturali erano ovviamente molto diversi da adesso, vi era un perso forse eccessivo degli ideologismi. Come pensi sia cambiato, da allora, il tuo modo di fare arte ?

LA: A guardare i miei quadri, sembrerebbe che il lavoro che faccio adesso sia notevolmente diverso. A guardarne uno della fine degli anni sessanta accanto ad un lavoro di adesso può venire una specie di vertigine. Se invece si guarda una serie di opere scandite nel tempo, allora si intravede una progressione, anzi meglio: una concatenazione. Il mutare dell'atteggiamento artistico per me dipende dal mutare della vita. Io credo che il mio sia un lavoro fortemente autobiografico, quindi gli eventi della vita (anche biologici) possono spostarne la prospettiva speculativa e pittorica. Ad esempio: ti nasce un figlio. Questo cambia tutto, perfino la pittura.

AT: Ciò che mi sembra rimasto costante, tuttavia, é la tua duplice attitudine di incanto e nel contempo disincanto verso la pittura. E' il tuo credo ma nel contempo tu ne sei l'eretico.

LA: pittura non é mai stata una fede, per me, ma un modo di essere, una cosa dalla quale non potevo prescindere in quanto era il mio più autentico modo di comunicare con la realtà, in maniera sorgiva e naturale. Pertanto questo disincanto di cui tu parli può avere questo significato autobiografico di fuggire continuamente da un modo convenzionale di comunicare con la realtà e di ipotizzarne un altro, chissà quale. Vuol dire, in fondo, inventare un altro mondo. I miei quadri sono altri mondi, conclusi in se stessi, con leggi proprie, con il sole che sorge ad occidente e tramonta ad oriente. Vi si può pensare che un tramonto sia un'alba.

AT: Il che potrebbe far pensare che in questo tuo disincanto si celi una sottile vena di amarezza....

LA: Il punto é questo: che il dato pittorico é indiretto, quindi non decodifica. Da lì viene la rabbia ed un senso di impotenza. Non é una questione di qualità dei risultati, é un fatto intrinseco alla pittura, la sua grandezza ed insieme il suo limite. C’è sempre il pericolo della cronaca mentre il ganglio del suo meccanismo infinitesimale può svanire. E' questa complicazione continua che dà lo scacco alla pittura e nello stesso tempo la stimola, la giustifica. E' questa, insomma, l'impotenza della pittura e da questo si deve fuggire: fuggire dalla dicotomia continua fra poesia per allusioni (e non può che essere allusione, altrimenti non é) e rabbia dell'operare, del vivere, del non potersi riscattare nella pittura. Con un po’ di amarezza si può dire che la pittura non dà riscatto, conferma la condanna.

AT: Quindi la pittura non salva.

LA: Personalmente non l'ho mai creduto. Mi ricordo certe discussioni di un tempo: c'era l'impegno politico, c'era l'arte impegnata e solo quella. Ma ora non voglio entrare in argomenti di questo tipo; sarebbe troppo complicato e forse troppo serio. Ho sempre saputo, però, che la pittura ha un imponderabile non riducibile a questo suo ruolo sociale, un ruolo che d'altro canto io non mi sento di rivendicare. Io non sono per l'ideologizzazione dell'arte e della cultura. Personalmente non lo posso fare perché faccio un'altra cosa. Ma ci sono tuttavia grandi artisti che ci sono riusciti. Io agisco nel dubbio.

AT: Penso a questo dubbio come un richiamo ad andare al di là delle forme, ad oltrepassare e - consentimi il termine - sfondare il piano verticale dell'opera, ponendosi in quella stessa posizione di incanto-disincanto, nei confronti delle immagini, di cui prima di parlava. D'altro canto, però, rimane forte la sensazione che, in te, il modo stesso dell'organizzazione formale riveli una certa neutralità, una certa qual leggerezza. Il pensiero va alla Pop Art, insomma, a quel suo peculiare non pronunciarsi sull'immaginario sociale di cui pur faceva ampio uso.

LA: Al di là della Pop Art, parlerei della grande lezione del Dada e del Futurismo. Queste sono le matrici di questo mio atteggiamento leggermente qualunquistico verso la funzione dell'immagine all'interno dell'opera. E dico qualunquistico non in senso negativo, semmai in senso tecnico. Di neutralità, appunto.

AT: Vorrei toccare ora un aspetto del tuo lavoro che mi sembra particolarmente pregnante: quello della letterarietà delle tue fonti ispirative. Un nome che ricorre spesso nei tuoi scritti, ad esempio, é quello di Henry James.

LA: Come tutti sanno, James é lo scrittore dell'inespresso, dell'indiretto, dell'allusivo. E' questo un modo di comunicare che vorrei fosse anche mio. E' semplicemente la frase giusta al punto giusto, James é uno degli scrittori che amo ed ai quali devo molto. Come anche il Belli o Montale. Ci sono luoghi della poesia di Montale che ho visitato dipingendo. L'amore letterario entra nell'anima e si amalgama con i sentimenti, viene metabolizzato e poi può anche divenire pittura....

AT: Questa tua letterarietà si rivela spesso nei titoli dei tuoi lavori. Ce n’è uno, che recita: "Di cose che poi non accadono", che mi sembra un fulmineo componimento poetico. Senza dubbio il titolo rivesta un'importanza particolare nelle tue opere.

LA: I miei titoli in sostanza vogliono dire questo: attenzione, c’è una lettura dopo la lettura. Si può sbucciare un quadro come un carciofino da intingere nell'olio. Ed ogni buccia é una possibilità di lettura. Può essere un paesaggio, poi un quadro sulle dissonanze cromatiche, poi una ricerca su materiali nuovi o inediti. Ancora: un quadro su figure che non comunicano ed ancora, può essere il quadro di un quadro (entrambi inventati ed uguali fra loro).

AT: Questo tuo insistere sulla pluralità o stratigrafia dei significati deriva da un'impostazione intellettuale d'ascendenza semiotico-strutturalistica ?

LA: Ho lavorato nella comunicazione pubblicitaria per pochissimo tempo, da giovane, ma é stata una straordinaria scuola di vita. Ma non mi ha insegnato tanto a comunicare, quanto a capire l'enigma della comunicazione, la sua sostanziale impossibilità, il che forma ancor oggi il reticolo tematico del mio lavoro e del quale abbiamo parlato finora. Da un punto di vista intellettuale, devo ammettere che non mi perdo molto a leggere trattati di semiologia. Mi perdo tuttavia a lambiccarmi il cervello sui fatti, sulle cose, sugli enigmi emotivi e sentimentali che costituiscono la struttura del vivere quotidiano. La mia, se vuoi, é una semiologia del quotidiano, del vivere continuo, delle sue motivazioni minimali.

AT: Mi viene da chiedere, in questo senso, se c’è qualcosa che realmente ti aspetti dalla pittura.

LA: Mi aspetto quello che, puntualmente, accade quando un quadro viene bene e cioè, semplicemente, la felicità. Una felicità liquida, che gorgoglia, che ti dice che hai fatto qualcosa di buono, di particolarmente buono.

AT: Questa é una risposta in chiave personale ed esistenziale. Ma la mia domanda verteva sulla pittura come sfera dell'espressione umana.

LA: Mi aspetto poco, in questo caso. Considero la pittura come qualcosa di superato. Non per fare il neo-poverista o il neodada, ma credo davvero che sia una sublime arte anacronistica. In fondo ne abbiamo già parlato, siamo in una situazione in cui la pittura è assolutamente sorpassata: c’è malgrado se stessa. Nello stesso tempo, e questa é la sua duplicità ed anche il suo grande fascino, la pittura ti dà, forse più di altre espressioni artistiche, il documento di quello che sta accadendo. Non il documento cronachistico del cinema o della televisione, ma il documento di quello che é nascosto. E' il documento visivo dell'anima di quel momento preciso. Mi viene in mente il cinema, per esempio il neorealismo, Rossellini con il suo "Roma città aperta". Cos’è stato ? Semplice: aprivano l'obiettivo della macchina da presa e la realtà entrava dentro, direttamente. Questo era il neorealismo. Ora, la pittura é una finestra che, se aperta (e se é la finestra giusta) fa entrare la realtà. Può essere una realtà trasognata, come nel mio caso, oppure una realtà precisa, nitida, come quella di altri artisti, oppure una realtà mentale, come quella di altri ancora, In ogni caso, come dicevo, la buona pittura fissa l'anima di un momento della storia.

AT: Quindi non un'anima personale o individuale, ma, verrebbe da dire, quasi un'anima del mondo.

LA: Un'anima delle cose, più che un'anima del mondo. Nella pittura c’è un'ambizione ontologica. Guarda, qui c’è una finestra e lì c’è un quadro sono nella posizione l'uno accanto all'altra: qual’è la finestra ? Qual è il quadro ?

AT: Non vi é forse una valenza utopica in questa reciprocità, in questo farsi l'uno analogato dell'altra ? In fin dei conti, la pittura rimane un linguaggio artificiale che però aspira in qualche modo a farsi natura.

LA: Nel momento in cui qualcuno decide di dipingere un quadro, compie un gesto di utopia e la pittura ha a che fare sempre con l'utopia, é utopia di per se stessa. E ciò vale per qualsiasi pittura. Forse la quantità di sostanza utopistica di un quadro (la si raggiunga con lo stile, con la coscienza, con la ricerca) é indice della sua qualità, é uno dei possibili metri di misura della qualità dell'opera.

AT: Del resto, questo carattere di artificio é ben esplicitato proprio dalla tua pittura, in quanto chiamata a raccolta di figure che stanno insieme soltanto nella misura in cui tu le organizzi insieme, ma che oggettivamente non possono stare insieme. La domanda allora é: questo artificio é parte fondamentale della verità della tua pittura, o é solo uno strumento cui consegni tecnicamente la tua espressione ?

LA: pittura é una grande amica che ti accompagna nella vita. La verità é la verità. Voglio dire: c’è la pittura e c’è la verità. Cos’è un quadro ? Forse una coincidenza delle due cose, La pittura non la fai proponendoti delle mete, la pittura la fai e basta, non ha scopi, non ha intenzionalità. Quindi, questo artificio di cui tu parli é qualcosa di oscillante: certe volte mi rendo conto che é una scenografia teatrale nella quale agisco, altre volte mi sembra una realtà vera. In questa oscillazione fra artificiosità-artificiosità ed artificiosità-realtà, in questo cangiare continuo della mia stessa convinzione e quindi del mio stesso atteggiamento verso l'operare e verso il contenuto dei miei quadri si sviluppa e si determina il quadro. Il quadro é una metamorfosi continua, una situazione variabile senza controllo apparente.

AT: Mi sembra, e le tue parole me ne danno conferma, che oggi il discorso sulla pittura (e della pittura) sia sempre più assimilabile alla speculazione filosofica e non solo dal verso critico. Si parla sempre più spesso di pittura come forma o modo di una teoresi parallela e quella filosofica. Anche in te trovo questa stessa inclinazione speculativa.

LA: Giustissimo. Non sono, naturalmente, un filosofo, sono solo un pittore che dipinge cercando di capirne il perché. Però ho il sospetto che spesso la pittura vada a surrogare qualcos'altro e che questo qualcos'altro sia il campo della speculazione filosofica. Forse si può addirittura andare oltre e pensare che molte volte la pittura é il surrogato di qualcosa di più importante della filosofia stessa: può sostituire la moralità, l'etica.

AT: Sei nell'arte da quasi trent’anni. La pittura ha coinciso, come hai detto, con la tua biografia, anzi, é stata in qualche modo la tua stessa autobiografia. Quali sono state le peculiarità di un rapporto così stretto e personale con la pittura?

LA: Se penso all'autobiografia, penso a qualcosa di letterario. L'autobiografia é insomma un parto letterario irriducibile. La pittura fa sì autobiografia, ma si tratta di un'autobiografia ancor più soggettiva: quella di ciò che vedi, non di ciò che sei. Un film od un libro hanno un tempo narrativo e per questo sono assimilabili. Un quadro non ha tempo narrativo, quindi non ci può riprodurre la durata, il corso della vita, la concatenazione degli eventi; tuttavia la pittura può fare e di fatto é autobiografia di un artista, nel senso che coincide con l'autobiografia del suo campo visivo.

AT: Si dice, dei grandi pensatori, che essi in realtà pensino un unico pensiero. Credi che ciò sia asseribile per i pittori?

LA: Sì, senz'altro. e si può dire anche di più: non solo il pittore dipinge il medesimo quadro, ma dipinge sempre se stesso.

AT: Vi é qualcosa di narcisistico in questo?

LA: No. Solo che é così. La grandezza di certi artisti é nell'oggettivazione che fanno di se stessi. Un pittore dipinge sempre se stesso ed il suo tempo - penso a Masaccio, per esempio -e riesce ad unire questi due elementi di interno ed esterno. A questo proposito, ricordo che qualche anno fa venne organizzata a Bologna una mostra sul tema dell'autoritratto. Io feci un paesaggio e sostenni quello che sostengo adesso: che un pittore fa sempre il proprio autoritratto anche se dipinge un paesaggio.

AT: Vorrei chiederti, infine, se sei disposto a fare, qui, un bilancio personale della tua vita.

LA: Per quanto riguarda il passato: ho la fortuna di dimenticarlo. E poi ho un'altra fortuna, superiore a quella di dimenticarlo: di ricordarlo. Certe volte penso di vivere e lavorare sempre con lo sguardo rivolto al passato, ma il passato non é oggetto di bilancio, ma forse di ritorni, di ritorni impossibili. Questo genere di ritorni sono sempre impossibili e dettano, dunque, quadri impossibili. Sono quelli che sto facendo.

AT: Sembra che per te la pittura abbia solo il presente.

LA: Diciamo che trovo il presente qualcosa di coatto. Come ognuno di noi, vorrei poter spaziare nel passato e nel futuro. E' un sogno infantile (come volare, ad esempio). E come molti sogni non é comprensibile, non é risolvibile. Ci porta inevitabilmente ad un altro sogno e poi ad un altro ancora. Come la pittura, certi sogni non si spiegano che così, con altri sogni.

Mitigliano, giugno-luglio 1994

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