In questo contesto, risulta particolarmente
interessante analizzare le condizioni di nascita e di affermazione
di un medium, come la fotografia, apparso a cavallo tra due
epoche, quella moderna e quella contemporanea, per cercare di
individuare se e in che modo la sua comparsa abbia contribuito
allapprossimarsi di una nuova era comunicazionale e a
rinnovare la concezione del fare e del pensare i modi dellarte.
Bramosa di correre verso il futuro senza accorgersi di esserci
già entrata, come la foce di un fiume che non sa di essere
già, in sé stessa, mare, la fotografia ha segnato
a sua insaputa il momento di passaggio tra due epoche.
Costruita con mezzi tipicamente moderni, preparata e attesa
da secoli di invenzioni precedenti, il nuovo mezzo è
il paradigma più compiuto dellera moderna, eppure
porta, dentro di sé, i germogli del rinnego, del radicalmente
diverso e dellinaspettatamente nuovo.
Basata su meccanismi ottici risalenti alle camere oscure rinascimentali
e perfezionati nel corso dei secoli successivi, resa possibile
dalle nuove conquiste ottocentesche nel campo della chimica,
la fotografia sembrerebbe concretizzare tutta una serie di aspettative
che la cultura occidentale nutriva da secoli: nello specchio
fedele della natura, infatti, da una parte trovavano accoglienza
le istanze artistiche naturalistico-mimetiche, alla base, da
sempre, di tutta lestetica occidentale, e dallaltra
trovava realizzazione lideale positivista di una scienza
esatta in base alla quale si potessero controllare e riprodurre
sperimentalmente i fenomeni naturali osservati, dando origine,
così, a nuove realtà. Ma, a queste premesse, la
fotografia risponderà con uno sviluppo del tutto eccentrico
rispetto allambiente di provenienza.
Lo statuto ontologico di «arte media», attribuitole
per la prima volta nellambito di una ricerca sociologica
condotta da Pierre Bourdieu e diversi collaboratori, deriva
alla fotografia, dunque, in primo luogo dai motivi, precedentemente
espressi, di collocazione temporale, e secondariamente, di
disposizione spaziale. Il nuovo mezzo, infatti, non potendo
vantare una paternità certa ed univoca, essendo stato
concepito in ambienti misti di scientificità ed artisticità,
non ha ereditato una propria sede naturale e non è,
per questo, posizionabile se non in un luogo intermedio tra
la scienza e larte, e tra questa e la non-arte,
o arte applicata, essendo stata da sempre accusata di essere
coinvolta in dinamiche industriali o di eccessiva diffusione
popolare.
Uno spazio neutro, dunque, o piuttosto un limbo, caratterizzato
da una perenne incertezza dattribuzione, che condurrà
a lungo la fotografia a vagare per i diversi sentieri dellapplicazione
complementare ad altre discipline, alla ricerca costante della
propria identità.
Un altro motivo per considerare la fotografia unarte
media è tutto interno alla logica artistica, dal momento
che, per quanto incerta sulla propria natura, la nuova tecnica
è riuscita a donare allarte, con la sua sola
presenza, la certezza della necessità di rinnovarsi.
Applicando, infatti, ai modi tradizionali di fare arte i metodi
«rivoluzionari» [3] della fotografia, quali linfinita
riproducibilità ed il suo annullare ed oltrepassare
la superficie del quadro per mostrare loggetto nudo,
il dato di fatto, il puro «è stato» [4]
del soggetto o dellevento, larte contemporanea
ha imparato a distinguere tra loggetto materiale e il
suo significato concettuale, rivalutando la presenza di entrambi
e dando loro reciproca autonomia, in unottica non più
naturalistico-mimetica, ma mediale, comunicazionale. I risvolti
di quella che possiamo definire una rivoluzione fotografica,
inoltre, riguardano tanto il mondo dellespressione artistica
propriamente detta, tanto quello della comunicazione sociale
quotidiana, di cui loggetto fotografia entra a far parte
fin dai suoi esordi, contribuendo, in tal modo, a condizionare
negativamente i giudizi sullo status della fotografia e sul
suo possibile ingresso nella sfera delle alte arti ufficiali.
Infine, la macchina fotografica come mezzo dindagine,
per eccellenza, della relazione tra il soggetto e loggetto,
tra il fotografante e il fotografato, ha contribuito allo
smantellamento dei ruoli tradizionali di autore e fruitore,
rivelando come loggetto darte in generale e la
fotografia in particolare siano la risultante provvisoria
e mutevole di unoperazione, più o meno consapevole,
dinfluenzamento basata sullinterscambio di sguardi,
posizioni e valori tra i due partecipanti allevento
artistico.
Nel delineare il percorso danalisi ci si varrà
di contributi di filosofi, sociologi, storici e teorici della
fotografia, e, in particolar modo, di un testo nato in ambito
sociologico, La fotografia di P. Bourdieu, che ben presto
ha varcato i confini della propria disciplina fecondando dei
propri concetti le riflessioni filosofiche ed artistiche contemporanee.
Altrettanto si può dire riguardo ai testi del mediologo
M. McLuhan, alla cui teoria comunicazionale il presente discorso
si appoggerà come al suo terreno naturale, convinti
che rileggere «come fanno spesso i filosofi - quel che
i sociologi hanno detto da tempo» [5]sia unoperazione
quanto mai «legittima» [6], se non necessaria.
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[1]Articolo pubblicato sul quotidiano «La Stampa»
negli anni Trenta, cit. in D. Mormorio, Un'altra lontananza,
Sellerio, Palermo 1997, p. 13.
[2]Il termine «estensioni» è presente negli
scritti dello studioso canadese Marshall McLuhan (1911-1980),
che ha sviluppato le tematiche dellinterrelazione tra
cultura e mezzi di comunicazione a partire dai risultati ottenuti
da Milmann Parry, Erik Havelock e Jack Goody sulla comparsa,
nella Grecia del VI sec. a.C., della theoria in concomitanza
con la pratica alfabetica e dalleconomista Harold Innis
sui legami tra i cambiamenti culturali e i mezzi di comunicazione
in uso. In tal modo McLuhan ha dato avvio ad una modalità
di ricerca mediologia sulle nuove e sulle vecchie tecnologie
poi seguita da un gran numero di studiosi, il più noto
dei quali è il suo allievo e teorico di internet Derrick
De Kerchove. Di M. McLuhan si vedano, in particolare: La Galassia
Gutenberg. Nascita delluomo tipografico (1962), Gli
strumenti del comunicare (1964), Il medium è il messaggio
(1967) e Il villaggio globale (1987).
[3]Nel senso usato da Walter Benjamin nel saggio L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi,
Torino 1966.
[4]Si veda Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia,
Einaudi, Torino 1980.
[5]Intervista a P. Bourdieu dal titolo La violenza simbolica,
realizzata a Parigi nel maggio 1994, disponibile on line sul
sito dellEnciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
dellarchivio RAI allindirizzo http://www.emsf.rai.it/interviste.
[6]Ibidem.
link:
L'arte media di Bourdieu: una
fiorente polisemia
Fotografia: una tecnica, tra arte
e scienza
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