La storia ci tramanda molti esempi di grandi technités,
gli architetti degli antichi templi greci erano anche straordinari
scultori, senza tuttavia scongiurare l'affermarsi della dicotomia
platonica che, sulla scia del dualismo anima-corpo, vuole
il "poietés" superiore al "technités"
e separa le due figure: tale concetto viene definitivamente
superato nel Rinascimento, segnato da grandi
figure di progettisti-artisti-tecnici quali Leon Battista
Alberti o Michelangelo e poi, in epoca barocca, Borromini o Bernini, personalità di artisti totali complessi
e completi.
La separazione tra artista e tecnico viene ripristinata recentemente,
agli inizi del '900 e per motivi contingenti, quando la tecnologia
diventa un campo molto specifico e richiede precise nozioni
di fisica tecnica sulle caratteristiche strutturali dei nuovi
materiali da costruzione, ad esempio il ferro ed il calcestruzzo,
sulle loro possibilità di assemblaggio e sulle nuove
metodologie produttive che permettono la produzione di serie
o luso inedito di materiali quali il vetro, impiegato
con funzione portante e quindi in grado di fornire prestazioni
tecnologiche prima impensabili.
Poiché ogni artista può liberamente scegliere
la tecnica più idonea o addirittura inventarsene una
che esprima al meglio le proprie esigenze estetiche, ecco che
il progresso della tecnica si allea vantaggiosamente con la
libertà creativa, potenziata nelle sue possibilità
espressive anche dalla varietà dei materiali e delle
loro modalità applicative: ciò vale per molti
pittori del passato, basti pensare allo sperimentalismo di
Leonardo, instancabile ricercatore e, in epoca moderna, per
gli artisti avanguardisti del 900, all'inizio di un secolo che inaugurava i primi tentativi tecnologici (come ad esempio il cinema, la fotografia, la serigrafia ecc.).
E probabilmente sullo sperimentalismo di molti artisti del passato non abbiamo ancora scoperto tutto, se, come ci informano all'inizio di questo 2019 alcuni ricercatori olandesi dell'Università tecnica di Delft e del Rijksmuseum di Amsterdam sulla rivista "Angewandte Chemie", solo oggi è stato possibile svelare uno dei 'segreti' di Harmenszoon van Rijn Rembrandt (1606 -1669). La straordinaria tridimensionalità dei suoi dipinti, il tipico effetto a rilievo si deve alla tecnica dell'impasto, secondo la quale egli depositava sulla tela una grande quantità di colore in grado di creare una evidente sporgenza rispetto allo sfondo ed esaltare il potere riflettente del pigmento, in particolare della sua componente di plumbonacrite, sostanza evidentemente reperibile già a quel tempo, ma identificata solo recentemente grazie alla luce del super microscopio europeo Esrf (European Synchrotron Radiation Facility), il sincrotrone di Grenoble che studia la struttura della materia.
Molti linguaggi moderni sono indissolubilmente legati
alla tecnica, quando non si identificano con essa, è
il caso del Dadaismo,
dellinformale
materico, del collage, dellassemblage,
per i quali il recupero della materialità si concretizza
nellassimilazione delloggetto reale nellopera
bidimensionale, superando quindi la sua rappresentazione:
è il caso di Color-Field
Painting e Post
Painterly Abstraction, che affidano al materiale stesso
il compito di modulare una serie di varianti nelle quali risiede
il tema dell'opera, di Hard
Edge Abstraction, per un'arte che sia contenuto ed espressione
di se stessa in cui concetto e tecnica coincidono. Sono solo
alcuni esempi di situazioni in cui la tecnica ha un ruolo
determinante ed indissociabile dal contenuto, quando cioè
solo quella tecnica permette di esprimere in maniera soddisfacente
quel contenuto.
Ogni cultura ha finalità ed obiettivi diversi:
in architettura, gli antichi Greci non inventano larco
perché non ne sentono il bisogno, per la loro concezione
spaziale astratta ed intellettualistica basta la trabeazione
rettilinea che attraversa e scandisce lo spazio senza imprigionarlo, i Romani invece, popolo di combattenti e conquistatori, lo 'copiano' dagli Etruschi perché la struttura ad arco e a volta meglio esprimono l'idea di uno spazio posseduto e sottomesso, il gotico inventa i contrafforti esterni per sostenere staticamente
il muro della navata centrale, ma anche per compenetrare la
struttura allo spazio vuoto smisuratamente sviluppato in verticale.
E se Jørn Utzon, geniale pioniere
dell'architettura moderna, progetta la sua incredibile Opera
House di Sidney con tecnigrafo e tavolo da disegno quando non esiste
ancora la progettazione computerizzata, è proprio questa
che permette invece a Gehry di concepire e realizzare le sue
architetture decostruite, dove il risultato è ottenuto sicuramente con maggior facilità (anche se non creato dal nulla, visto che la progettazione utilizza un software della Dassault Systemes in origine creato per i progetti automobilistici e aerospaziali e traslato con successo nella progettazione architettonica).
Ciò insegna che ogni prodotto della creatività umana, seppure mediato dalla tecnica, è sempre
il risultato di uninterazione tra uomo e uomo, tra uomo
e società, presupponendo scelte di carattere culturale che le macchine non saranno mai in grado di operare, ma solo di assecondare al meglio.
Insomma, se i pittori fiamminghi del '400 non avessero inventato
la pittura ad olio, forse non avremmo la Monna Lisa, o forse
sarebbe stato lo stesso Leonardo a mettere a punto una tecnica
simile, dato che il suo intento era quello di realizzare lo
sfumato, se non esistesse la tecnica serigrafica forse non
avremmo la Pop Art, se la chimica non ci avesse dato una grossa
mano, forse non esisterebbe la fotografia, per non parlare
dello sterminato campo di sofisticate tecnologie offerte oggi
all'arte dal digitale.
Ma la storia, anche quella dell'arte,
non si fa con i se, ed in questo caso il dilemma permane,
invariato da parecchi secoli: è nata prima l'arte o
la tecnica?
* articolo aggiornato il 16/01/2019
link:
Tecnica e arte, mezzo e fine
Scoperto il segreto dei quadri di Rembrandt
L'autoritratto ai tempi di instagram
I colori di Vincent
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