Come accade non infrequentemente, Van Gogh (1853-1890) ha realizzato
più versioni di questo dipinto (due disegni, una litografia,
un carboncino e tre quadri), impiegando diversi mesi, a conferma
sia della sua predilezione per questo tema, sia della componente
ossessiva del suo operare, radicata in una sensibilità
esasperata e complicata da importanti disturbi psicologici che tuttavia non hanno mai ostacolato la capacità di organizzare la propria creatività in un linguaggio espressivo coerente con sé stesso e consapevole di sé.
La scena che egli riprenderà più volte, della quale la
versione "ufficiale", un olio su tela, 82 x 114
cm datato 1885 è oggi conservata ad Amsterdam, al Rijksmuseum
Vincent Van Gogh, è ambientata in un interno ispirato
alla pittura fiamminga del '600, dove una livida luce radente
piove fioca sulle figure da una lanterna appesa, una luce
direzionale che ha la funzione di costruire volumetricamente
le forme, immerse in un effetto atmosferico polveroso ed avvolgente.
La solennità del rito ed il religioso raccoglimento
attorno al misero tavolo contrastano con la frugalità
del pasto, patate raccolte in un grande piatto comune, e della
bevanda, forse caffè, che una donna versa con attenzione
servendosi di povere suppellettili. L'azione si svolge in
un ambiente angusto, misero e disadorno, dove nella penombra
si intravvedono appena pochi semplici oggetti d'uso comune,
il tutto definito ed amalgamato da toni cromatici cupi e freddi,
nella scala dei bruni e dei grigi, con tocchi di verde-azzurro
sulle superfici su cui batte la luce diretta: unica concessione
ad effetto, il controluce applicato alla figura della bimba
in primo piano che, allineata con la sorgente luminosa, definisce
l'asse mediano verticale della composizione.
Le mani dei personaggi, i cinque componenti della la famiglia
de Groot, assuefatte al duro lavoro rurale, sono grandi e
sgraziate, gli sguardi inquieti, i volti irregolari, colti
di scorcio, resi con pennellate mosse e tratti tormentati
chiaramente espressionisti, animati da un marcato gioco chiaroscurale
che accende l'espressività delle fisionomie di un tocco
quasi grottesco, drammatica rappresentazione di un campione
di umanità umile ma dignitosa, per la quale la squallida
povertà delle condizioni di vita è la norma,
subita quindi con pacata rassegnazione.
Un altro quadro disperato, dove la fatica di vivere, che
Van Gogh riversa sui soggetti pescandola dal fondo del proprio
animo, non urla, non si ribella, ma soccombe quietamente e
con rassegnazione alle durezze della vita, con la quale o
si viene a patti o si muore (Van Gogh scieglierà per
sè la seconda via).
In una delle molte lettere al fratello Theo (la n. 404 del nutrito epistolario) nell'aprile 1885 egli scrive: "Ho
voluto, lavorando, far capire che questa povera gente che
alla luce di una lampada mangia servendosi dal piatto con
le mani, ha zappato essa stessa la terra dove poi le patate
sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale
e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato
di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto far pensare
a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi
esseri civili".
Un dipinto in cui Van Gogh, soddisfatto del risultato, si
identifica appieno, tanto che se ne priva e lo lascia in consegna
a Anton Kerssmakers, pittore dilettante, per non cedere alla
tentazione di ritoccarlo, progettandone l'esposizione a Parigi,
prevedendone la presentazione, la cornice, la tappezzeria
di sfondo, un progetto che, come tanti altri della sua vita,
non si avvererà mai.
Un dipinto in cui Van Gogh denuncia scopertamente la sua commossa
partecipazione, la sua adesione empatica al dolore degli umili,
di un'umanità abbruttita dalla fatica con la quale
strappa alla terra un misero sostentamento: lavoro, fatica,
sofferenza, stenti e povertà sono i temi che vi si
intrecciano, sui quali Vincent posa uno sguardo indagatore,
disperato ed amorevole, animato da una indomita tensione morale
della quale egli stesso è consapevole, tanto da affermare:
"Per quello che riguarda il mio lavoro, penso che il
dipinto dei contadini mangiatori di patate, fatto a Nuenen
rimane après tout il migliore di tutta
la mia produzione".
link:
Vincent Van Gogh, "Autoritratto"
Vincent van Gogh, "Caffè di notte"
Vincent Van Gogh, "Campo di grano con corvi"
Vincent Van Gogh, "La camera da letto di Arles"
Vincent Van Gogh e Antonin Artaud, l'incontro di due follie
* articolo aggiornato il 5/02/2013
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