Tra i punti fermi, oggi in crisi, di una
cultura umanistica che pareva consolidata nelle sue linee
essenziali secondo un percorso univoco c’è
quello di identità, un concetto che la moderna antropologia
ha rivisto criticamente, leggendo l’idea di ‘etnia’
come pretesto per rivendicazioni in realtà generiche e campanilistiche
(il territorio o le fonti di risorse, per ragioni di pura
sopravvivenza) contro i non appartenenti, gli ‘altri’,
gli estranei che facilmente diventano nemici e che, proprio
grazie alla loro alterità, contribuiscono ad alimentare
la coscienza dell’identità.
Accade, infatti, anche oggi che per contrastare lo strapotere economico
di altri paesi e quindi per ragioni di convenienza, l’Europa
cerchi faticosamente di costruirsi una identità transregionale
e sovranazionale, inventandosi una improbabile identità
europea per tutelare interessi che nulla hanno a che fare
con le radici etniche.
Rispetto ad altre discipline a componente visiva quale ad
esempio l’architettura, l’arte ha sempre avuto
una sostanziale ampiezza di vedute che l’ha portata
a concepire l’identità come un rapporto aperto,
sempre in fieri, costruito nel divenire delle relazioni,
delle esperienze, dei rapporti, non fissato una volta per
tutte e refrattario alle classificazioni di genere o di
area geografica.
Le suddivisioni tra correnti e tendenze
dell’arte moderna hanno infatti il valore di un metodo
di classificazione finalizzato a conoscere e studiare in
modo organico il fenomeno culturale più vistoso di
tutta la storia dell’uomo, non corrispondendo sempre,
nella realtà, a indirizzi distinti gli uni dagli
altri e tanto meno a prese di coscienza e rivendicazioni
rigidamente identitarie.
Al di là di una minoranza di movimenti con precostituite e dichiarate
tendenze restaurative e nazionalistiche (Novecento,
Valori
Plastici, Realismo
Magico, Strapaese,
Anacronismo
tanto per restare in ambito italiano), l'arte moderna, e
soprattutto quella contemporanea, è in realtà
leggibile come un'avventura intellettuale e creativa senza
soluzione di continuità che si regge non tanto sul
concetto di identità quanto su quello di consapevolezza
delle differenze.
L’arte, infatti, ha la capacità di assimilare
e integrare il nuovo e il diverso con una continua mediazione
culturale, in un discorso interculturale allargato dove
la pertinenza territoriale ha confini aperti e permeabili:
l’America si apre all’arte europea e ne deriva
i suoi movimento più importanti, l’Espressionismo
astratto e la Pop
Art, mentre Astrattismo,
Surrealismo,
Informale
percorrono trasversalmente l’arte visiva di tutto
l’occidente e Happening,
Arte
Relazionale, Fluxus,
Ecart,
Concettualismo
professano non regole, ma atteggiamenti di vita espressi
attraverso ibridazioni e scambi che fanno dell’arte
il fedele paradigma in tempo reale di una società
globale in cui l’identità culturale non coincide
più con l’identità nazionale.
Nello scorso ‘900 la società e l'arte hanno
scoperto progressivamente il concetto di alterità,
confrontandosi con l’irriducibilità e l’inevitabilità
dell’altro, e l’arte, più che in passato
interessata ai temi legati al corpo, alla morte, alla sessualità
e all'universo delle interelazioni umane, si interroga oggi
non più sulle identità razziali, ma sull'identità
psichica e culturale, cedendo talvolta alla retorica del
multiculturalismo, ma contemporaneamente perfezionando un
concetto di cultura universale, patrimonio collettivo dinamico
continuamente aggiornabile e negoziabile.
Mettendo in atto, ancora una volta un escamotage
che le permetta di ricreare la propria ragione di esistere,
come già accaduto all’inizio del secolo scorso
quando, soppiantata dalle nuove tecniche, ha coraggiosamente
abbandonato il realismo ed il naturalismo trovando nella
psiche umana il suo soggetto di analisi, ora l’arte
compie un salto di scala e adotta un linguaggio sovraidentitario che non ha bisogno di decodificazioni specifiche, senza
tuttavia rinunciare alla dimensione propriamente individuale,
che rimane appannaggio del singolo artista.
Il tema dell’identità è affrontato in
architettura assai più rigidamente probabilmente
a causa delle sue implicazioni sugli aspetti politici, economici
e giuridici, o anche perché l’architettura
ha a che fare in modo diretto e concreto con il genius
loci, con il potere, che fonda sulla consapevolezza
della diversità dagli altri la sua autorevolezza,
con la religione, portatrice di valori apparentemente universali
in realtà fondati sulla rivendicazione della propria
specificità, il che ha finito per limitare in un
dato puramente anagrafico un’idea di identità
acquisita per nascita, inalienabile e immodificabile.
Nel tentativo di superare l’empasse, l’architettura
moderna è oggi diventata un assemblage di
linguaggi personali e soggettivi articolati da un ristretto
gruppo di solisti della progettazione: se è vero
infatti che si possono/devono superare i limiti di identità
ormai troppo riduttivi, è anche vero che bisogna
instaurare nuovi modi di comunicazione che sostituiscano
efficacemente quelli rinnegati.
Pare comunque che il salto di scala con il quale la società
moderna cerca di passare dal concetto di identità
ristretta a quello di identità allargata sia, quand'anche
necessario, tutt’altro che chiaro nelle sue fattive
modalità: per l’arte si è verificato
un allontanamento tra produttore (unico) e fruitore (globale)
che rende talvolta impossibile ogni dialogo, per l’architettura,
volta ad una progressiva ‘artisticizzazione’,
la strada intrapresa pare sia lo stesso vicolo cieco di
quel concettualismo che qualche anno fa l’arte ha
imboccato con esiti infausti, con il risultato di produrre
architetture-feticcio in interventi episodici.
Ma forse l’arte può ancora una volta tracciare
una via, la stessa che Luigi Pareyson assegna al fare artistico,
un “fare critico, intellettualmente attivo, che
si interroga lungo il suo procedere” ('Estetica:
Teoria della formatività' 1996) , per un’arte,
e perché no?, un’architettura, che mentre “fa”
inventa il modo di “fare”, perché il
cammino si fa camminando.
Che sia il ritorno dell’homo faber?
link:
Arte moderna
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